«Roma come il mondo» e il popolo eletto
Aleksej Veličko
Università Statale di Kemerovo
I. Qual è l’obiettivo principale di ogni Stato e società? La risposta è evidente: garantire lo sviluppo libero dell’individuo, la formazione della sua personalità. Tutti gli altri fattori della vita sociale hanno carattere facoltativo e sono valutati esclusivamente in base a questo criterio. Non è importante come sia organizzata l’amministrazione statale, quale forma di governo e quale regime politico ci sia in uno Stato. E’ importante una sola cosa: che l’individuo abbia la possibilità di svilupparsi liberamente e diventare una personalità. Come dimostra nella pratica la storia, ci sono regimi che favoriscono il raggiungimento di questo obiettivo e ce ne sono altri che uccidono la personalità.
L’uomo non può svilupparsi liberamente se non gode di alcun ‘diritto’, cioè se non ha libertà politica e sociale. Non diventerà una personalità anche in assenza di libertà di coscienza. La fede in Dio deve nascere liberamente, non per coercizione o per abitudine quotidiana. Senza Dio non c’è personalità, come ben avevano capito i Romani già nel periodo pagano e per questo avevano creato un pantheon statale di divinità. I Romani sapevano che senza la fede in Dio non era possibile educare una personalità nell’uomo.
Naturalmente, una costruzione sociale e politica che risponda a tutti questi requisiti è estremamente complessa. Per questo risulta per noi molto prezioso l’esempio senza precedenti del grande Impero romano, che è durato più di due mila anni. Esso aveva tutto ciò di cui abbiamo parlato: una legislazione sviluppata, un sistema giudiziario, un potere statale elettivo, economia e finanze eccellenti, una cultura elevata e un’ampia tolleranza religiosa. Ma il fattore principale consisteva nell’idea fondamentale, che armonicamente univa Stato e individuo. E questa idea era: «Roma è il mondo intero!».
Come è noto, questa idea non è nata subito. Tuttavia, già Virgilio, nell’Eneide, scriveva che a Roma non c’erano limiti né di tempo né di spazio, che il suo potere era eterno: «His ergo nec rerum, nec tempora pono, Imperium sine fine dedi» (Eneide I. 278, 279). E il grande filosofo Cicerone affermava che lo Stato romano poteva essere solo universale, unire non solo il popolo di Roma, ma l’intera umanità, accomunata dagli stessi interessi e da un’unica ‘legge naturale’, che è uguale per tutti. Dio è l’Autore, la Fonte della ‘legge naturale’. Non può esserci una ‘legge naturale’ a Roma e un’altra ad Atene, una oggi e un’altra in futuro.
* Traduzione dal russo di Caterina Trocini.
Sant’Agostino, grande apologeta cristiano e Padre della Chiesa, fa un ritratto ancora più efficace della ‘Città di Dio’ universale ed eterna. Per lui, ‘Roma’ è il principio dell’unità mondiale e il fondamento dell’organizzazione dell’umanità intera. ‘Roma’ non è legata a una società o ad un luogo specifico. Come si dice nella profezia di Daniele, Roma è «l’Impero Errante» (Dan. 2:36-45; 7:14), universale e di tutti i popoli. ‘Roma’ non è un fatto compiuto, ma un ideale, un imperativo morale che permea profondamente ogni individuo e lo guida come un impulso spirituale verso l’obiettivo più alto, l’unità e l’universalità.
Questa costruzione, a prima vista idealistica, si è rivelata estremamente pratica ed ha unito centinaia, migliaia di popoli in un’unica entità politica — l’Impero romano, che si estendeva dalla Scozia alla Palestina, dall’Oder all’Africa settentrionale. «Un potere, una legge, un popolo», questo è il concetto chiave della Roma eterna. Essere Romano non è solo una nazionalità, è un segno di appartenenza a un’entità politica, culturale e religiosa universale. Ciò presuppone, a sua volta, che l’individuo non abbia solo diritti politici, ma anche libertà spirituale, che l’Impero garantisce.
Il fascino della ‘Roma Eterna’ è così grande che anche dopo la caduta di Costantinopoli, il 29 maggio 1453, l’umanità non ha smesso di credere in essa. Per i Germani l’Impero romano si trasformò in Sacro Romano Impero Germanico (XV secolo), mentre in Russia in quello stesso periodo è diventato la ‘Mosca Terza Roma’, descritta nelle lettere del monaco Filofej. Come è noto, egli non ha formulato una dottrina con un contenuto chiaro e concreto. Le lettere del monaco Filofej non sono un trattato politico, ma delle profezie sui destini della Russia e del mondo. Il monaco stesso afferma ripetutamente di non aver studiato ad Atene, di non aver conversato con i filosofi; tutta la sua conoscenza deriva dalla lettura dei testi sacri e delle preghiere.
Questo è il motivo delle molteplici interpretazioni date agli scritti di Filofej, spesso in netto contrasto tra loro. Alcuni interpretano le lettere in senso escatologico: la fine del mondo è vicina, Mosca è l’ultimo baluardo del cristianesimo e dunque lo zar e la Chiesa devono adempiere al loro dovere di difensori della fede fino alla fine. Altri, e questa tendenza del pensiero politico-filosofico è oggi particolarmente popolare, intendono le lettere di Filofej nello spirito dello slavofilismo. Questo tentativo di interpretazione appare particolarmente interessante, dal momento che nessuno dei fondatori dello slavofilismo ha mai identificato direttamente le tanto amate antiche tradizioni moscovite con la ‘Terza Roma’. Ci sono anche altre interpretazioni, che proporremo più avanti.
Ognuno può comparare e valutare tutte queste idee in base alle proprie preferenze soggettive. E’ tuttavia innegabile il fatto che se il monaco parlava proprio di ‘Roma’ e non, ad esempio, di ‘Babilonia’, la sua comprensione del grande ideale politico non poteva non basarsi sui principi fondamentali dell’‘Impero eterno’, su cui si basavano i due precedenti. Pertanto, l’autenticità di qualsiasi interpretazione della ‘Terza Roma’ deve essere confermata dalla sua aderenza all’idea principale di «Roma come il mondo intero!», espressa non solo da Cicerone e Agostino d’Ippona, ma anche dal monaco Filofej di Pskov.
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II. Come è noto, tra le molteplici correnti di pensiero che caratterizzano lo slavofilismo, solo un’idea principale è condivisa da tutte: la convinzione, non dimostrata ma neppure confutata, dell’eccezionalità del popolo russo e in generale degli slavi come forza trainante della storia. Perché? Perché tutti i popoli cristiani, senza eccezione, si sono allontanati da Dio e hanno intrapreso una segreta guerra fratricida. Solo gli Slavi hanno conservato un saldo fondamento morale. Tuttavia, senza il popolo russo, unico in grado di riunire intorno a sé tutti gli altri popoli slavi, questa grande missione storica è irrealizzabile. Così come la Russia è impensabile al di fuori del mondo slavo, poiché rappresenta la sua espressione ideale, allo stesso modo e per la stessa ragione il mondo slavo è impensabile senza la Russia. In altre parole: «tutta la potenza della Russia risiede nel suo essere slava».
Tuttavia, l’idea dell’elezione (seppure decisa da Dio) un popolo presuppone sin dal principio una diseguaglianza (spirituale, politica, tribale) tra quest’ultimo e gli altri. È ovvio che per la ‘Roma’ universale (pagana e cristiana) una tale affermazione sia priva di senso. Essendo cittadino dell’Impero, un uomo di etnia latina non differiva in nulla da un greco, uno spagnolo, un germanico, un bulgaro, un siriano o un gallo. Erano tutti romani. Il legame di sangue non aveva alcun significato per loro.
Gli slavofili sostenevano con fervore che solo il popolo russo possedesse il dono spirituale della vera fede. Solo il popolo russo viveva sotto l’influenza della ‘vera’ Chiesa. Poiché solo la Chiesa russa non era caduta nell’eresia, la società e la storia russe si distinguono per la loro autenticità, spiritualità e organicità. Non c’è nulla di artificiale o di falso in esse, come invece accade in Occidente.
L’unica conclusione logica che gli slavofili potevano trarre da quanto detto è la seguente: la Chiesa Cattolica può preservare la sua purezza solo se si nutre della cultura di un solo popolo. A tale scopo, essa dovrebbe consapevolmente rinunciare alla sua natura universale, cattolica, confinandosi nei limiti di una fede nazionale, dovrebbe quindi smettere di essere la Chiesa di Cristo.
Di conseguenza, la Chiesa creata dal Salvatore per tutta l’umanità, dove c’è posto per tutti, Greci, Sciti e Giudei (Colossesi 3:11) diventa la Chiesa di un popolo eletto che fa da tramite con il resto dell’umanità, guidandola verso Cristo. Ma la Chiesa nazionale, di fatto, non può più dare al suo popolo una vera fede cristiana. Dio si pone più in alto della singola nazione, l’unità in Dio è superiore all’unità nazionale la Chiesa Universale consiste di diverse Chiese nazionali.
Condividendo lo slavofilismo, nello spirito del quale si cerca di interpretare le lettere del monaco Filofej, dovremmo esclamare con Faust: «Attimo, sei così bello, fermati!». Le qualità eccezionali del popolo russo, descritte dagli slavofili, si possono sviluppare solo in una realtà socio-politica ben definita. Non si può dunque introdurre nulla di nuovo nell’ideale politico dei secoli passati senza il timore che le innovazioni corrompano l’anima russa.
Per una serie di ragioni, tra cui il fatto che l’Antica Russia non è stata in grado di creare una legislazione sviluppata, i sostenitori della ‘Roma slavofila’ si mostrano scettici verso la legge e i ‘diritti’, vedendoli solo come segni di un’influenza ‘occidentale’ corrotta. A cosa servono, se c’è un potere giusto e una vera Chiesa?
Negando per principio il naturale sviluppo sociale e spirituale, gli slavofili consideravano il potere statale come unica forza in grado di guidare con il pugno di ferro il popolo russo verso un futuro felice. Presumibilmente, essi non credevano nel desiderio spontaneo del popolo russo di trasformare il mondo circostante. Inoltre, gli slavofili ritenevano che il potere dovesse essere assoluto e nelle mani di una sola persona. Nella loro costruzione ideale, l’armonizzazione delle relazioni sociali si realizza attraverso la sottomissione silenziosa di tutti e di ciascuno a un superiore obiettivo comune. Tale sottomissione dovrebbe manifestarsi non nella maggioranza dei voti, ma nell’unanimità. Ma dove è qui la libertà?!
In definitiva, la ‘Roma slavofila’ può esistere solo con il completo e consapevole negazione dell’individualità. In una nota opera il capo carismatico dei circoli patriottici del XIX secolo affermava chiaramente: «L’individualità gioca un ruolo del tutto insignificante nella storia russa; avere personalità è un vanto, ma noi non ci vantiamo». Tale approccio ha ben poco a che fare con il cristianesimo e non corrisponde nemmeno all’ideologia politica classica romana. Lo status di ‘cittadino romano’ era così ambito dai barbari, perché concedeva loro un grande bene, il ‘diritto’, la legge, un tribunale, un governo giusto. Senza individualità non c’è cittadinanza romana, senza cittadinanza romana non c’è Impero romano. Di conseguenza, non c’è nemmeno ‘Impero Errante’, la ‘Terza Roma’.
III. Non intendo giudicare le idee che stanno alla base dello slavofilismo. In primo luogo, poiché si tratta di ipotesi o di assiomi. In secondo luogo perché, come qualsiasi altra ideologia, queste idee sono soggettive: piacciono a qualcuno e ad altri no. Io, ad esempio, non le sostengo. Ma, d’altra parte, come dimenticare che lo slavofilismo è stato sviluppato da pensatori così rinomati, patrioti nobili nello spirito, come A.S. Chomjakov, F.I. Samarin, I.S. Kireevskij?
Ma per noi la cosa più importante è un’altra: ci sono affinità tra le idee espresse dagli slavofili e l’insegnamento del monaco Filofej? Penso di no.
Certo, il monaco Filofej parla della Chiesa, ma non della Chiesa Russa, bensì della Chiesa di Cristo, la Chiesa Cattolica. Egli chiede al sovrano moscovita di difendere la Chiesa Universale. È ovvio che il monaco Filofej, un eremita, che ha trascorso molti anni in preghiera e ascesi, non potesse sviluppare un pensiero così primitivo come quello dei nazionalisti della Chiesa.
Dall’analisi delle lettere è evidente che i pensieri di Filofej sono in perfetta sintonia spirituale con Agostino, Giustiniano il Grande e Manuele Comneno. Ad esempio, egli distingue con precisione gli Stati che nel tempo si sono attribuiti il titolo di ‘Roma’ e l’ideale di ‘Roma’, citando a conferma delle sue parole sull’‘Impero errante’ l’apostolo Paolo, che menzionava spesso ‘Roma’ nelle sue lettere.
Rispetto ad altri libri profetici, si nota subito il fatto che le lettere di Filofej, a differenza, ad esempio, di quelle veterotestamentarie, non sono rivolte al popolo (in questo caso, al popolo russo), come quelle dei profeti Isaia e Geremia, ma personalmente al Gran Principe, ai boiari o al sovrano di Mosca. I profeti dell’Antico Testamento si appellano alla «casa di Giacobbe», «chiamata Israele» (Is.48:1): «Svegliati, svegliati, rivestiti della tua magnificenza, Sion; indossa le vesti più belle, Gerusalemme, città santa» (Is.52:1), «poiché così parla il Signore agli uomini di Giuda e di Gerusalemme» (Ger. 4:1) e così via. Filofej invece si rivolge al sovrano esortandolo a pregare Dio affinché il suo regno non cada, come gli altri stati cristiani.
Filofej spiega di quali prime due ‘Rome’ stia parlando. La ‘prima’ è la Roma Latina, le cui mura sono ancora salde, ma che morta nello spirito, che è caduta nell’eresia e che ha consegnato l’anima al diavolo. La ‘seconda’ è l’Impero dei Greci, ormai decaduto. Ma l’‘Impero romano’ è indistruttibile, perché «Cristo si è iscritto nell’Impero romano». Esso non può morire né spiritualmente né fisicamente. E ora, ‘vagando’ per il mondo, ‘la Roma eterna’, passando per Roma e Costantinopoli, è arrivata fino a Mosca. Ma perché?
Non certo perché il popolo russo possieda qualità superiori a quelle di altri, ma solo perché a Mosca le chiese brillano più del Sole e c’è un sovrano devoto, l’unico sovrano cristiano dell’intero universo.
Gli studiosi hanno già notato che il concetto di ‘russo’ è espresso dal monaco Filofej con la parola ‘romano’, come sinonimo di unità universale dell’umanità. Sarebbe un errore affermare che la ‘Terza Roma’ esiste grazie all’opposizione tra il principio di ‘nazionalità’ e quello di ‘universalità’. Per Filofej, non erano ancora due concetti contrapposti, come sarebbe avvenuto due secoli dopo.
Il monaco Filofej non accenna affatto all’esistenza di un popolo eletto. C’è un Impero, quello moscovita, c’è un sovrano — Ivan Vasil’evič (il Terribile) o i suoi predecessori Gran Principi, c’è la Chiesa, tutto il mondo, tutto il cristianesimo. Il concetto di ‘popolo russo’ non è affatto presente nel lessico fi Filofej. Solo una volta il monaco menziona la ‘terra russa’ e anche in questo contesto il lamento della vecchia Rachele e l’appello a Dio per i suoi figli non si ode a Ramah in Palestina (Matteo 2:18), ma nella Terra Russa.
È ovvio che non sia il messianismo a ispirare il monaco Filofej, bensì il pensiero della responsabilità del sovrano di Mosca, rimasto, dopo la caduta di tutti gli altri imperi cristiani esistenti, unico garante esterno e protettore politico della Chiesa. Per il monaco, non sarà il popolo russo o la Slavia a ‘assorbire’ gli altri popoli, ma tutti gli imperi cristiani si uniranno, nell’ora designata da Dio, «nell’unico impero del nostro sovrano». La presenza di un popolo eletto, ovviamente, non gli sembrava una condizione necessaria per l’esistenza di una ‘Terza Roma’…
A differenza di molti altri pensatori, Filofej non cadeva in un ideologismo artificiale. Le sue lettere dimostrano una buona conoscenza della storia e della situazione a lui contemporanea. Naturalmente, egli non poteva imporre al popolo russo una missione straordinaria, poiché, anche per ragioni oggettive, l’Impero moscovita non poteva in quel momento aspirare al messianismo. Come è noto, non tutta la popolazione ‘russa’ era cristiana. Nel solo XVI secolo, il territorio dell’Impero crebbe da 2,8 a 5,4 milioni di chilometri quadrati e comprendeva la popolazione dei regni di Kazan e Astrachan, che erano stati conquistati, così come la Siberia, gli Urali, il Territorio di Perm’, di Vjatka, ecc. Nel complesso, la popolazione aumentò del 30-50% e raggiunse circa i 12 milioni di persone, che per la maggior non erano di fede cristiana.
Come possono essere intese dunque le parole del monaco Filofej «Roma è tutto il mondo»? Ritengo che debbano essere interpretate in questo senso: nel genere umano ciascun popolo, differente dagli altri, ha una propria predestinazione storiosofica, un proprio campo d’azione spirituale, sociale e politico. Tutti i popoli devono servire i valori supremi, con libertà di pensiero, di fede e di azione. Solo in questo modo si forma un’autentica cultura nazionale e una libera personalità creativa. Tutti insieme creano la ‘Roma eterna’, dove c’è posto per tutti e per ognuno, non solo per gli eletti.