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АLEKSEJ VELIČKO Mosca

La “sinfonia” di diritto romano e diritto canonico 

         I.

         Il rapporto di sacerdozio e impero, ovvero la «sinfonia», si è manifestato nell’Impero romano cristiano molte volte. Questo argomento è già stato trattato sia da me sia dai colleghi qui presenti. Oggi vorrei descrivere brevemente questa «sinfonia» sull’esempio del diritto canonico e del diritto romano. 

         Spesso si afferma che all’epoca dell’Impero romano la Chiesa e lo Stato abbiano avuto vite parallele, ma se così fosse stato, si sarebbe manifestata con evidenza la loro tendenza ad isolarsi l’una dall’altro. La storia, invece, ci propone scenari diversi. Nel corso di tutta la sua esistenza l’Impero romano non ha conosciuto la rigida separazione tra il “diritto dello Stato” e il “diritto della Chiesa”

La maggioranza delle leggi ecclesiastiche deve la sua origine proprio al potere statale. E l’interrogativo riguardante il fatto se un canone ecclesiastico dovesse essere emanato a nomedell’imperatore, del Concilio ecumenico o del sinodo patriarcale spesso veniva risolto secondo il principio dell’opportunità e della tradizione. Così, ad esempio, il santo imperatore Marciano (450-457), avendo esaminato gli appelli dei cittadini a lui rivolti e avendo preparato per essi delle risposte fondate sulla giurisprudenza, aveva considerato più corretto formalizzarle come atti del Concilio Ecumenico, che in quel momento si stava svolgendo a Calcedonia (451). A loro volta i Padri del Concilio sancirono quegli atti nella forma stabilita dall’imperatore, senza interferire nella sostanza delle risposte da lui date e affidandosi a lui completamente. 

D’altra parte, molte delle Novelle dell’imperatore San Giustiniano il Grande (527-565) erano state composte dal Patriarca costantinopolitano San Mena (536-552), che però riteneva sinceramente che quelle regole avrebbero goduto di maggiore autorità se emanate a nome del potere imperiale, di quanta ne avrebbero avuta se le avesse emanate il Patriarca. Lo stesso era accaduto durante il regno dell’imperatore Leone VI il Saggio (886-912).

Tutte le raccolte legislative di quel tempo comprendevano Novelle degli imperatori a proposito delle principali questioni relative all’attività della Chiesa. Il «Codice di Teodosio» (V sec.), il «Codice di Giustiniano» (VI sec.), l’«Egloga» (VIII в.), il «Procheiron», i «Basilici», l’«Epanagoge» (IX sec.), per non parlare poi di centinaia di editti imperiali di epoche diverse, prestavano non poca attenzione alle questioni di disciplina ecclesiastica e devozione. D’altra parte, conosciamo una grande quantità di leggi ecclesiastiche che regolano questioni di diritto civile, relative alla famiglia e alla sfera pubblica, cosa che, in generale, era sempre ritenuta prerogativa del potere statale. 

Peraltro non possiamo mancare di osservare che le leggi imperiali che regolano le più disparate questioni di disciplina ecclesiastica sono incomparabilmente più numerose delle leggi ecclesiastiche in materia di diritto civile e diritto pubblico. E non poteva essere altrimenti dal momento che nel corso di molti secoli l’imperatore è stato unico legislatore nello Stato romano. Ed è merito proprio degli imperatori se le disparate e diverse regole ecclesiastiche, adottate in tempi diversi, siano diventate leggi statali obbligatorie per tutti in tutta la Chiesa. A dare l’esempio in questo senso è stato l’imperatore San Giustiniano il Grande nella Novella 131, quando ha intimato di considerare come canoni le regole dei primi quattro Concili Ecumenici.

II

Lo studio del diritto canonico ci porta senza fatica a riconoscere che suddetta disciplina deve le sue origini e il suo sviluppo al diritto romano, di cui, in senso figurato, era la «facoltà ecclesiastica». Tutti i principi fondanti e le tradizioni del diritto romano sono state riprodotte nel diritto della Chiesa: la struttura della norma, i tempi e le modalità della sua entrata il vigore, il campo di applicazione, il principio della correlazione tra legge e consuetudine giuridica, la tecnica giuridica, ecc. E non poteva essere altrimenti, poiché tutti gli ecclesiastici, nell’Impero romano, erano cittadini dell’impero e vivevano in base al diritto romano, che non prevedeva alternative; l’eventualità stessa di una sua sostituzione sarebbe sembrata allora puro frutto dell’immaginazione.

Nel diritto romano le leggi si suddividono sempre in: 1) autorizzative; 2) dispositive; 3) coattive. Le norme di diritto canonico sono classificate nello stesso modo, indipendentemente dal fatto se regolino rapporti di diritto civile, di disciplina ecclesiastica, le competenze degli organi dell’amministrazione ecclesiastica o la gerarchia delle autorità ecclesiastiche. 

Inoltre, interi rami del diritto canonico si presentano come plagio della legge romana. Ad esempio, lo status giuridico delle proprietà ecclesiastiche e dei luoghi sacri era regolato esclusivamente dal diritto romano. Solo successivamente la Chiesa, come soggetto legittimo dei rapporti giuridici civili, ha ottenuto il diritto di acquisire un patrimonio per contratto o testamento. 

  Un altro esempio lampante: nel diritto romano, in base a un’antica tradizione, gli dei erano riconosciuti come proprietari dei templi. L’imperatore San Giustiniano il Grande, sviluppando questa idea, estese l’istituto giuridico delle res sacrae su tutte le Chiese cristiane. Di conseguenza Gesù Cristo fu riconosciuto dalla legislazione come unico soggetto dei diritti patrimoniali della Chiesa. Certamente ciò ha avuto poi delle conseguenze per quanto riguarda le garanzie di inviolabilità delle proprietà ecclesiastiche.

     Il diritto romano ha esercitato un’influenza decisiva anche sugli istituti processuali, in primo luogo su quelli posti alla base dell’attività dei Concili Ecumenici. Questo processo apparve tanto più logico, dal momento che non esisteva alcuna alternativa ad esso. 

In molti casi il diritto canonico utilizzava un analogo romano al fine di creare una legge propria. Quindi, se qualcuno muoveva una falsa accusa contro un altro, questi veniva qualificato in base al diritto romano come calunniatore (calumniator) e punito con le pene previste per le colpe di cui lui stesso accusava l’imputato. Questa regola (poena talionis) è riprodotta nel canone 6del II Concilio Ecumenico. 

Come è noto, in tutta una serie di casi il diritto canonico prevede diversi tipi di pena per chierici e laici per una stessa violazione della legge. Anche in questo caso, tuttavia, la Chiesa si basava su un antico principio del diritto romano, il divieto di punire due volte per lo stesso delitto. Se il chierico era stato privato della sua dignità ecclesiastica, l’altra pena (come per esempio l’allontanamento dall’eucarestia) non gli veniva infitta. 

Per secoli Roma aveva professato il seguente principio: «Il diritto non può esistere senza gli studiosi del diritto che lo portano a compimento». La letteratura giuridica romana ci ha lasciato molti generi; eminenti giuristi non solo hanno spiegato il senso delle varie leggi, ma spesso le hanno reinterpretate, adeguandole alle circostanze concrete. Non c’è da meravigliarsi, dunque, se anche nel diritto della Chiesa troviamo dirette analogie del «diritto dei giuristi», ovvero le regole dei Santi Padri. 

III

L’affinità (talvolta persino l’uguaglianza) tra le norme di diritto canonico e quelle di diritto romano si manifesta pienamente anche nella concezione degli obiettivi e nella fissazione delle forme di pena. Sebbene, d’altra parte, già inizi a manifestarsi anche la loro differenza sostanziale, diretta conseguenza dalla natura della Chiesa. 

A differenza del diritto romano, dove la pena aveva il ruolo principale, il diritto della Chiesa aveva come obiettivo primario la rieducazione del condannato. La sostanza stessa della pena, per la Chiesa, consisteva nella privazione di tutti, o di alcuni, suoi benefici, nell’esclusione temporanea dell’imputato, che non era più considerato un membro della Chiesa. Comunque, in piena conformità con le tradizioni giuridiche romane, il diritto canonico aveva anche conservato pene punitive (poenaevindicativae).

La dualità del diritto canonico era già stata una caratteristica della Chiesa Antica. In seguito, con il radicarsi sempre maggiore della Chiesa nell’Impero romano, circostanze oggettive avevano contribuito al rafforzamento di questa tendenza. Ciò si spiega con il fatto che il canone ecclesiastico aveva ricevuto lo status di legge di Stato e doveva essere difeso dal potere politico con tutti i mezzi abituali. Dunque, le persone che avevano commesso peccato contro la Chiesa, passavano poi nelle mani dello Stato, che applicava nei loro confronti le stesse pene stabilite per criminali comuni che violavano la legge. 

Come è noto, l’episcopato ricorreva in modo ampio e sistematico all’aiuto del potere imperiale nella lotta contro l’eresia e nella condanna di coloro che violavano i canoni ecclesiastici. Peraltro, anche i vescovi e i Concili ecclesiastici infliggevano pene molto rigide, senza considerare che le loro decisioni avrebbero dovuto solo «curare» gli imputati. Talvolta questa condotta ha assunto forme contrarie allo spirito e agli insegnamenti del cristianesimo, come, ad esempio, la decisione di condannare al rogo gli eretici presa dal Concilio di Costantinopoli all’epoca del Patriarca Michele II di Oxeia (1143-1146).

Tuttavia, pur mantenendo l’affinità con il diritto romano e usando tutto il suo assortimento di principi e mezzi tecnici di regolamentazione giuridica, il diritto della Chiesa aveva fatto già quel primo grande passo «di allontanamento», che ha avuto conseguenze così serie per tutta l’umanità.

IV.

Certo, ogni diritto ha alla base un’idea morale, il diritto, in generale, ha origine nella religione. Tuttavia il diritto canonico coniuga in sé sia il quadro ordinario delle origini della legge, sia quello straordinario. Crescendo sul tronco della legge romana delle origini, esso ha fatto proprio tutto quello che poteva essere utile per la Chiesa, l’ha elaborato e ha restituito alla società un diritto nuovo, cristiano. Ciò è stato possibile solo perché la Chiesa ha sempre avuto una sua natura sacrale, che ha portato nel diritto canonico un ideale morale assoluto e supremo.

Il concetto di pena nel diritto canonico comprendeva il «diritto umano» (jus humanum), ovvero la legge romana, e il «diritto divino» (jus divinum), la sanzione ecclesiastica diretta verso la riabilitazione spirituale del peccatore. Essi erano organicamente legati e lo jus divinum si inquadrava nella forma dello jus  humanum, come testimonianza evidente della permanenza della Chiesa nello Stato. Ed è proprio lì dove l’attività dello Stato e della Chiesa si sono svolte in modo coordinato che è stata raggiunta la splendida «sinfonia dei poteri».

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